26 dic 2005

Casablanca (un racconto perduto)


Casablanca per molti non è una città, è uno stato dell’anima. Una diffusa sensazione di malinconia, tristezza e delusione della vita che traspare dalle espressioni assenti dei passanti.
Io vivo in questa città da pochi anni, ma ho sentito storie che fanno sembrare il fallimento del mio matrimonio una tranquilla gita del liceo. Storie di uomini che hanno perso la loro vita per colpa della loro donna, storie di fratelli che uccidono fratelli, di piccoli lavoratori consumati dai debiti che hanno fatto prostituire le loro mogli, di donne violentate per vendetta dagli operai di una catena di montaggio, di donne gelose che hanno ucciso il miglior amico del loro marito.
Storie tristi di un’umanità così varia che sembra quella dei film. Eppure così reale da soffocarti. Molti di questi uomini e donne cercano una strada lontana dal mondo per perdersi. E qui la trovano. Con le lunghe strade tutte uguali, piene di piccoli bar e locali di divertimento: dai più innocenti strip-bar, ai circoli privati di divertimento, proibiti dalle leggi di qualunque stato. Dai combattimenti dei galli alle roulette russe, in questa giungla umana nessuna espiazione è troppo difficile, in nessun gioco si rischia troppo: più della vita gli strozzini non possono chiedere, e le persone che frequentano questa città quella l’hanno persa quando sono arrivati.
Uno dei posti che frequento con maggior piacere è l’Harry’s Bar. Un vecchio bar tutto costruito in legno, dal consunto bancone ai tremolanti tavoli, gestito da un vecchio rompicoglioni che nella vita avrebbe voluto fare altro ma che le strade della vita hanno portato a Casablanca: Harry Toscano. Origini italiane, una spaventosa conoscenza del superfluo, soprattutto applicata al cinema, ai Beatles, alle vallette dei varietà televisivi, e a qualche altro argomento per lui di grande interesse, e un’immensa forza d’animo. Non c’è persona, derelitta, disperata o semplicemente triste, che Harry non sappia consolare con parole pregne di significato e sulle quali nessuno si esime dal riflettere.
Poi, se per ottenere la sua benedizione bisogna sopportare almeno tre aneddoti inutili su uno degli argomenti sopradetti, poco importa. E’ un piccolo prezzo da pagare.
Io, che faccio finta di guadagnarmi da vivere scrivendo articoletti per ogni inutile rivista da questo lato della costa, soffro d’insonnia cronica e passo spesso le mie notti da Harry. E osservo. Osservo le vite delle persone che si consumano nel dolore senza avere la forza di uscire dal tunnel. Osservo le speranze e i sogni delle persone sciogliersi come ghiaccio in un doppio bourbon. Osservo e scrivo.
Anche questa notte sto scrivendo sul mio portatile le ultime battute di un lungo articolo su un argomento così inutile che non ricordo più neanche qual è. Pochi avventori questa sera. Fuori piove a dirotto, come non faceva da molto.
Questa sera la gente consuma la sua disperazione tra le mura della propria casa, se è così fortunata da averne una. Bisogna anche comprendere che non sempre “nessun posto è come casa”. Per certe persone le mura di casa propria sono una prigione dalla quale è impossibile evadere, perché esserne fuori non significa esserne liberi. Io, per esempio, credo di avere risolto il problema alla radice. Vivo nelle stanze economiche dei piccoli alberghetti che riempiono questa città, di mese in mese pagate dalle riviste per cui lavoro. Questo mi costringe a a cambiare periodicamente alloggio, e così riesco ad evadere dal senso di abitudinario soffocamento che queste piccole stanze a lungo andare provocano.
..... (continuatelo)

3 commenti:

nerosubianco ha detto...

Di colpo bussano alla porta, sento già il suo odore distruggersi nell'aria, mi accosto all'uscio e sospiro affannosamente, troppe sigarette penso, o forse é l'emozione di trovarsela di fronte. Finalmente apro.
E' bellissima. le sue labbra si avvicinano alle mie e con delicatezza misto rabbia inchioda il suo corpo alle mie povere ossa risucchiandomi in un turbine di piacere. Jane.... dice di chiamarsi Jane.

Anonimo ha detto...

Il suo bacio è lungo e affamato, riemrgo dall'apnea e riprendo fiato. La sua bocca sa di sigarette francesi, mi sembra di avere ripulito con la lingua un posacenere di un vecchio volo dell'Air France ai bei tempi in cui in aereo ti facevano fumare senza romperti tanto le gonadi. Dice di chiamarsi Jane la tipa. Jane. Va bene che i quaranta li ho passati e che sono mediamente rimbambito, va bene che ho raggiunto le tre cifre nel contatore delle signore e signorine che ho fatto felici sul talamo, va bene che mi sono fatto fuori già quattro galloni abbondanti di whisky mentre Harry mi resocontava dettagliatamente del suo servizio militare in marina... va bene tutto, ma questo nome Jane non mi dice proprio niente, mi torna in mente solo la concubina di Tarzan e una topolona che tempo addietro turbava le mie notti insonnni con un quiz notturno su Telemontecarlo.

Matta ha detto...

"Scommetto che non ti ricordi di me!" Esordisce dopo avere osservato il mio sguardo perplesso. E' vero. Non so proprio chi sia. Mi volto per un attimo verso Harry e vedo che soggnigna sotto i baffi malcurati. Lei si siede accanto e me si scola con noncuranza il mio whisky in un solo sorso. E ne ordina altri due. Per uno. Strano che non mi ricordi di una come lei: come amante sembrerebbe niente male. Come compagna di bevute, meglio. Ma non riuscivo proprio a ricordare dove l'avessi vista...o incontrata. Eppure lei sembrava sapere tutto di me!